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Motori

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Ferrari Testarossa

Al Salone dell'Automobile di Parigi del 1984 la Ferrari svelò l'erede della 512 BB, di cui conservava la meccanica. La vettura, con la sua linea, opera di Pininfarina, caratterizzata dalla coda notevolmente allargata (dominata dalle luci rettangolari immerse in una serie di barre orizzontali) e dalle grandi griglie laterali, suscitò subito ampi consensi (e qualche critica: qualcuno la considerò persino eccessiva, più vicina all'ostentazione Lamborghini che all'eleganza sportiva Ferrari). Anche gli interni, lussuosamente rifiniti, erano opulenti. In origine la Testarossa aveva un solo specchietto retrovisore molto sporgente e posto curiosamente a metà del montante del parabrezza, per tentare di migliorare la scarsissima visibilità posteriore, ostacolata dalla massiccia coda; tale collocazione non era, in effetti, particolarmente elegante, per cui ben presto si passò ad una soluzione più tradizionale, con due specchietti alla base dei montanti.

La meccanica era mutuata dal modello precedente, ma venne affinata: il 12 cilindri boxer di 4.942 cm3 beneficiò di una nuova testata a 4 valvole per cilindro ed erogava ora una potenza di 390 CV. Il retrotreno venne dotato di doppi ammortizzatori[1]. La Testarossa originaria rimase in produzione praticamente invariata (salvo modifiche di dettaglio a cerchi e dotazioni) fino al 1992. Nel 1989, però, per adeguarsi alla normativa antinquinamento, venne montata la marmitta catalitica, con conseguente calo di potenza a 380 CV.

 

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